OSPITI DI LABOR TV
giovedì 19 marzo 2009
PRIMO COMMENTO AL FILM "ARRIVEDERCI":
Il film, ambientato in uno scenario contadino, è in bianco e nero e pur senza interpreti femminili, pone al centro del racconto proprio la donna. Nella narrazione lo spettatore assiste ad usanze e costumi di vita contadina che ancora sopravvivono nel terzo millennio e che presto saranno dimenticati, lasciando alla storia una originale testimonianza. Nella casa dove i fanciulli attendono la loro madre, le inquadrature delle suppellettili illustrano l’estrema semplicità e povertà. Questi valori sono esaltati dal bianco e nero della pellicola, e tuttavia lo spettatore non può che interpretare a colori l’unico segno di modernità che squarcia quella semplicità contadina. Le federe dei cuscini che con geometrici disegni tradiscono il segno del nostro tempo e che, per abitudine, ogni spettatore vede ed interpreta a colori.Il regista, con immagini e pochi dialoghi, illustra i valori umani che ancora esistono nelle piccole comunità, il sacrificio del lavoro, la solidarietà umana, l’orgoglio e la dignità della povera gente. Questi valori si contrappongono ai valori negativi del materialismo e del consumismo che pur non illustrati emergono indirettamente dai racconti sulle donne del villaggio che, emigrate, sembrano perse nel modernismo delle città italiane.La figura femminile è assente e tuttavia se ne denuncia la sua indispensabile necessità. I guasti che la sua assenza procura a figli e mariti sono drammatici, e tuttavia allo stesso tempo rappresentano una denuncia, indiretta e implacabile, verso quegli stessi uomini che il sacrificio di emigrare lo affidano alle donne, che con le loro rimesse sostengono oggi le economie dei paesi dell’est.Solo nell’ultima immagine del film appare il colore, è l’arcobaleno, i suoi colori bagnano di speranza la drammatica conclusiva scena di disperazione del film.
Tatiana Nogailic
SECONDO COMMENTO DEL FILM:
ARRIVEDERCI è un film che fa discutere e divide spettatori e critica. Tra gli spettatori moldavi è sorprendente registrare giudizi che negano il valore del film semplicemente perchè queste persone negano la realtà rappresentata. In questi casi bisogna capire quali sono i motivi che spingono a rinnegare una realtà che il regista ha tratto dalle cronache della stessa Moldova, che raccontano di abbandoni e suicidi quali effetti della migrazione. Forse non è noto, ma sembra che la storia raccontata tragga spunto da un fatto vero, che le riprese risultano fatte nello stesso luogo della vicenda, e che i due bambini attori erano compagni di scuola dei veri protagonisti della vicenda, inoltre le scene della campagna e delle usanze del villaggio sono state girate nei luoghi reali.Insomma non erano ricostruzioni fatte negli studi cinematografici, non si tratta qui di quelle finzioni filmiche che suscitano nello spettatore le “emozioni forti” ma allo stesso tempo scrupolosamente attente a non turbare la coscienza di chi guarda.Questo film emoziona non i sensi ma le coscienze, è questo il motivo che turba, che induce molti spettatori a negare la realtà che hanno visto nel film. Potranno anche negare quella realtà ma non la potranno più dimenticare perché resta incisa nelle coscienze. Questo è il valore e il messaggio del regista, “non dimenticare”. Coloro che negano la realtà per continuare a vivere in pace con la propria coscienza, al cinema vanno solo per ricavare delle pure sensazioni emotive . Dai commenti emerge anche che taluni moldavi provino vergogna o sentono questo film come una offesa alla dignità della propria nazione. Evidentemente in Moldova, al contrario del cinema, la libertà dei mass-media non ha ancora raggiunto quella maturità che deve accompagnare un popolo a riconoscersi nei propri limiti e nei propri valori.Si dirà che anche noi italiani abbiamo i nostri difetti, certo ma noi non li nascondiamo, e non ne abbiamo più vergogna, perché abbiamo imparato a discuterli senza nasconderli o rinnegarli. I nostri difetti ormai non li commentiamo più nel buoi delle sale cinematografiche, vengono annunciati tutti i giorni nei telegiornali e sulla stampa, li commentiamo negli show televisivi dove si illustrano scandali e comportamenti, mondezza e mafia, e della politica facciamo divertenti spettacoli di satira. In altri termini gli italiani convivono con i loro limiti, ne prendono coscienza senza rinnegarli e senza vergognarsi, perchè sapere da dove si proviene e conoscere i propri limiti da ad ogni popolo la possibilità e la forza di migliorarsi.
Neri Luigi
R&S RICERCA E SVILUPPO
TERZO COMMENTO DEL FILM
Guardando il film “Arrivederci” del regista Valeriu Jereghi si può dire che è duro in senso che tutti siamo abituati di presentare, di vedere la parte buona, bella di un paese, sopratutto se si tratta di un paese meno conosciuto. Ma questa è la realtà e si deve accertarla e di trovare le soluzioni adeguate.Infatti la vita di un immigrante è molto difficile. Gli immigranti devono lasciare indietro la loro vita, quella che era prima di andare via, le loro tradizioni. Spesso l'impatto della nuova situazione può essere drammatico per loro. Purtroppo sono i bambini che risentano questo problema di più che un adulto.La statistica mostra che almeno 600.000 persone hanno immigrato da Moldova, con unapopolazione di circa 4,3 milioni di abitanti. Secondo le dati statistici di UNICEF in 2004 sono stati 35.000 bambini che abitavano in Moldova senza nessun genitore e 75.000 con uno del genitori.Purtroppo ogni anno questo numero è in crescita.Questi bambini confrontano varie minacce; mentre che loro possono avere una situazione finanziaria migliore, egli spesso rischiano di avere una educazione morale e spirituale limitata.Spesso loro si descrivono come abbandonati o pensano di loro male e per questo sono andati via i loro genitori. Si sentono pure condannati a vivere questo problema.Pure io ho vissuto questa esperienza essere in pratica da sola con mia sorella più piccola dime. Io avevo 17 anni e la mia sorellina 10 quando la nostra mamma è andata in Italia per lavorare e a migliorare la situazione finanziaria. Infatti mie un po' difficile ridare la mia esperienza. Vivere Tutti i giorni che verrà è quel bel giorno “di festa”, l'arrivo della mamma. Anzi per me sono stati Difficili quegli anni. Io dovevo fare la madre e anche la sorella. Avevo altre responsabilità a crescere ed a educare la mia sorella. Ma posso dire che in tutto questo è stato anche una parte positiva quella di essere autonoma, di avere più fiducia in me. Ho cominciato a vivere la vita di un adulto.Dobbiamo fare tutto quello che è possibile per a migliorare la situazione dei questi bambini,dandole più attenzione per non sentirsi da soli e di non sentire così forte la mancanza dei genitori.Perché i bambini sono il nostro futuro, la nostra speranza.
Proteggiamoli!
Arina Iavorschi
Studente FASS- PUST ANGELICUM ROMA
QUARTO COMMENTO AL FILM
Due bambini, i loro gesti al risveglio. Due bambini soli. Le immagini in bianco e nero scorrono lentamente, in sala si può ‘sentire’ il peso di quello che si vede. Il film è il film moldavo Arrivederci di Valeriu Jereghi, la sala è quella del Serafico per una proiezione organizzata da Assomoldave ;la gran parte degli spettatori appartiene alla comunità moldava di Roma e provincia.
La storia colpisce al cuore e allo stomaco, una storia di abbandoni da parte di donne - madri, mogli - per emigrare in paesi lontani alla ricerca di lavoro e garantire a chi rimane una vita migliore. Madri e mogli che, come nel film, a volte perdono o vogliono perdere il legame con le loro radici e spariscono nel nulla.
Le donne (e gli uomini) presenti seguono in silenzio la storia che si dipana, trovando la voglia di sorridere solo per qualche attimo. Anche se con esiti diversi, è la loro storia di donne, che hanno lasciato in una città o villaggio moldavi figli e mariti per andare ad accudire figli e mariti altrui in città così diverse dalle loro, fra gente non sempre accogliente. Così è successo anche a Tatiana, la giovane e determinata presidente dell’Assomoldave.
Noi, donne italiane, non possiamo essere semplici spettatrici e siamo come loro coinvolte dalle immagini che vediamo. Non basta a frenare l’emozione sapere quanta ricchezza hanno significato per noi occidentali, e in particolare per l’Italia, il lavoro di intere popolazioni dell’Europa orientale; non basta sapere che tutte noi conosciamo o viviamo situazioni familiari che si mantengono grazie alla presenza di badanti rumene, ucraine, moldave; non basta che la nostra presenza testimonia la volontà di integrazione.
Cresce dentro di noi, insieme all’emozione, la consapevolezza che non c’è futuro per i nostri popoli se non si parte dalla difesa del ruolo delle donne nella società. Parità e dignità vuol dire dare a tutte le donne del mondo la possibilità vera di veder crescere i propri figli, di poterli svegliare ogni mattina, di accompagnarli a scuola, di essere sostenuta con servizi e supporti sociali in questo compito di ogni donna del mondo di riprodurre il proprio popolo.
Vuol dire permettere ai bambini di essere bambini e vivere la loro infanzia serenamente. Quelle mani che nel film impastano il pane, lavano i panni, tirano l’acqua dal pozzo, devono continuare ad essere mani adulte, in Moldavia, in Italia, in Africa , in Sudamerica, in India e in Cina.
Anche la stessa durezza della vita e dei rapporti devono essere scoperti con la guida dei genitori.
Prima le donne e i bambini’ non può essere una frase priva di senso ma un impegno fondante per uomini e governi.
L’Italia ha vissuto il dramma dell’emigrazione e non dimentichiamo che interi paesi del Sud o del Veneto si sono svuotati, centinaia di famiglie si sono divise, milioni di persone si sono allontanate ma anche che, grazie alle rimesse degli emigranti, chi è rimasto ha potuto costruire una casa, mangiare, far studiare i giovani.
La povertà non è una vergogna, mostrarla non è uno scandalo. E anche questo gli italiani lo sanno bene poichè, davanti agli splendidi film del neorealismo, che raccontavano un’Italia devastata dalla guerra e costretta ad arrangiarsi, un esponente politico di rilievo li criticò e affermò che ‘i panni sporchi si lavano in casa’… Noi, al contrario, pensiamo che non di panni sporchi si tratta ma di realtà davanti alle quali non si può tacere.
Il film comunque nella drammaticità della storia, invita alla speranza quando ci fa vedere ancora bambini che giocano e adulti del luogo , ma anche stranieri che aiutano, parlano, fanno ancora sognare questi bambini.
Questa speranza ce la vogliamo prendere tutta.Siamo uscite da quel pomeriggio in cui abbiamo visto Arrivederci rafforzate nella nostra convinzione di vivere insieme ad ogni donna moldava e ad ogni donna del mondo queste drammatici processi e ricercare insieme percorsi di conoscenza e solidarietà.
Madri per Roma Città Aperta
madrixromacittaperta.noblogs.org
QUINTO COMMENTO:
In merito al film ARRIVEDERCI devo dire che l'ho trovato molto bello, profondo e sopratutto realista. Lo so che a molti immigrati può far male vedere certe situazioni e molto spesso per dignità e pudore si preferisce negare che vi siamo queste situazioni ma al tempo tesso credo che sia giusto raccontare anche queste storie.
E' vero che non tutte le situazioni sono come quella vista nel film ma ci sono anche queste e servono per far capire con quale stato d'animo vivono tanti immigrati nel nostro paese Serve a far capire che tanti di loro se avessero avuto le condizioni giuste sarebbero rimasti nel loro paese con la loro famiglie e i loro figli invece di venire in Italia per cercare lavoro e mantenere i proprio cari in patria, magari rinunciando alle loro professioni, ai loro studi per fare lavori molto umili.
E' una pagina dura e cruda dell'immigrazione e bene avete fatto a farla vedere, speriamo che serva a tutti per riflettere e per affrontare il tema dell'immigrazione e dell'integrazione con un'altra sensibilità.
Un ringraziamento particolare lo rigolo al regista, al produttore e ad Assomoldave che ha voluto organizzare la proiezione a Roma.
Federico Rocca
Consigliere Comunale di Roma
SESTO COMMENTO
Il mio commento è molto personale e probabilmente deluderà quanti hanno privilegiato l’aspetto di denuncia sociale e politica del film. Perché io, in quelle scene così poetiche di una campagna abbandonata e di una vita di privazioni, sento la nostalgia di qualcosa che, da viziato occidentale dell’età dell’opulenza, non ho mai avuto. Una vita non artificiale e più autentica, una vita in cui un bambino non è trattato come un deficiente irresponsabile o come il cliente finale della distribuzione commerciale. Perciò non riesco a sentire un male di cui vergognarsi in un tipo di vita così arcaica e lontana dalle nostre abitudini.
Dove voi vedete l’orrore, io vedo qualcosa di buono. Certo, da correggere, da migliorare, ma da non buttare via completamente.
A parte queste considerazioni esistenziali, mi sembra che il motivo più interessante del film, quello che lo rende un film di denuncia forte e intelligente e non banale sia questo: l’immigrazione è finalmente mostrata nella sua faccia nascosta, il paese che presta la forza-lavoro e non quello che la sfrutta.
Finalmente si esce dalla retorica dell’immigrazione come possibilità, come risorsa, come incontro di culture diverse ecc. Punto di vista che è sempre molto egoistico e anti-democratico, in quanto riferito ai paesi e alle culture più forti, quelle ospitanti. Mentre non si chiede mai alle persone che emigrano quanto contente siano di contribuire a questo magnifico incontro di culture e arricchimento sociale e progresso economico.
Finalmente l’attenzione è spostata sui “vuoti” della globalizzazione, sull’impoverimento che crea, sulla crudeltà delle logiche sottostanti.
Non mi meravigliano le difficoltà di distribuzione che può aver incontrato il film, che scontenta sia i governanti del paese del regista, per ovvi motivi, sia i nostri (occidentali) paladini della globalizzazione e del progresso ad ogni costo, di destra e di sinistra, sia le componenti culturali più progressiste troppo abituate a vedere nello straniero una “causa” da difendere e troppo poco un essere umano da capire.
Flavio Ballarin
SETTIMO COMMENTO
In merito al film arrivederci, posso dire che tratta uno dei punti più dolenti che lascia con se i fenomeni dell’immigrazione.
Quello che mi ha colpito, oltre la povertà che in fondo siamo abituati a vedere ed a conviverci noi che veniamo dai Paesi poveri è l’abbandono dei minori senza che una persona che si possa fare carico di loro, per me raffigura la povertà dell’Anima, dei sentimenti che è assai più dura.
Questo film farcendoci analizzare questi punti, fa si che non dobbiamo nascondere la realtà ma affrontarla e fare qualcosa perché non continui a succedere.
Noi donne, che lasciamo i nostri paesi con la speranza di una situazione economica migliore per la nostra famiglia non dobbiamo sentirci in colpa, se non, trattare affinchè questa situazione cambi, che i bambini non si sentano più abbandonati se non sicuri ed amati.
Devo fare i complimenti a coloro che hanno realizzato questo film, perché bisogna avere una forte sensibilità umana per trattare un tema così drammatico.
Avvocata . Palomino C. Gladys
OTTAVO COMMENTO
Per un “Arrivederci” meno amaroE’ un film coraggioso, Arrivederci , del regista moldavo Valeriu Jereghi. Parla di problemi talmente strutturali nei paesi a forte tasso emigratorio da apparire irrisolvibili e quindi censurabili. E non solo censurabili, ma di fatto censurati da chi li vive in prima persona, quasi fosse una colpa o una vergogna l’essere nati poveri, in un paese povero ed essere stati costretti ad emigrare.E’ un film saturo di emozioni, melanconico e amaro, Arrivederci, prodotto dallo sguardo di un regista che fortemente si identifica con alcune delle vittime che l’ emigrazione falcidia, quelle che chi va via si lascia alle spalle.E’ un film lento e studiato, girato in bianco e nero, in cui convivono la raffigurazione iconica, la rarefazione mistica del cineasta russo Tarkovskij ed i toni molto più enfatici dei neo-realisti italiani. Quasi un invito straziante agli spettatori ad aggiungere di persona i colori, le sfumature. Ad entrare in risonanza con la materia dura, pietrosa, di cui è fatto il film. E, soprattutto, a colmare un’ assenza. Un invito che io, mamma e migrante privilegiata, non posso non cogliere…Il film è tutto costruito su un personaggio di cui nulla si sa e nulla si vede, una madre che ha lasciato soli in Moldavia per migrare in Italia due bambini, un fratello maggiore e una sorellina, che insieme raggiungono forse a mala pena i 16 anni. In una società povera e rurale i due bambini si arrabattano per vivere, soprattutto grazie alla caparbia e fiera capacità di sopravvivenza del più grande dei due. Ma non è tanto la durezza delle condizioni di vita, il prematuro incontro con le necessità spietate della povertà e dell’ assenza di figure di riferimento a costituire il nucleo del film. Piuttosto, è la dialettica tra l’ assenza materiale della madre e la presenza di lei nella memoria, nei gesti e nel desiderio struggente del figlio maggiore a tessere la trama del film, che poi è solo un’ attesa senza fine.Sono quattro le sequenze del film che più mi hanno colpito e che desidero commentare.Il film si apre con il risveglio dei due bambini; capiamo dalla determinazione che il maschietto mette nel pettinare la sorellina, dall’ attenzione nel consolarla, che a lui spetta il ruolo materno della cura. Con un significato non recondito : la madre ha curato amorevolmente e a lungo quel figlio se è riuscita a tramandare il suo ruolo, a instillare in lui non solo la devozione che il bambino le dedica ma anche i gesti quotidiani del contatto quotidiano con il corpo dell’altro, che si fa arrendevole, corpo di figlio/figlia.In un significato forse più lontano, ma su cui vale la pena di interrogarsi ugualmente, il ruolo materno assunto da un piccolo rappresentante del genere maschile appare come la rottura fortuita di una catena di eventi che portano le donne piuttosto che gli uomini ad eccellere nei ruoli della cura. L’ emigrazione della madre, probabilmente in Italia per essere badante, porta un figlio ad essere badante dell’ altra figlia. Come a dire che la povertà e l’ emigrazione possono stravolgere i confini di quello che chiamiamo famiglia, di quello che chiamiamo ruolo genitoriale, di quello che consideriamo ruolo maschile o femminile. Un salto nel buio nell’arco di una generazione fa precipitare su un cucciolo d’ uomo un destino che tradizioni valoriali sedimentate lentamente nei secoli hanno invece riservato alle donne.Nella seconda sequenza, il bambino ascolta, cuffie agli orecchi mentre sale sul monte, la canzone “O sole mio” che lo connette all’ Italia, un paese misterioso, dove la madre vive (o non vive più). Questa e le altre canzoni napoletane della colonna sonora di questa parte del film, sono anche le canzoni che gli emigranti italiani in tutto il mondo si portano dietro per ricordare la patria. Come a dire che l’emigrazione ha un linguaggio unico, scandito tra le note alte del desiderio e quelle basse della nostalgia. E l’ emigrazione ha i suoi tempi, un presente schiacciato tra passato e futuro, entrambi coniugati con il modo condizionale del “se…”Nella terza sequenza, l’ arrivo al primo giorno di scuola in ritardo del bambino ci porta all’ interno della trasmissione valoriale che è di nuovo affidata ad un personaggio femminile. Una giovane maestra declama con vigore un poema sulla madre-patria. L’ assenza della madre si fa duplice e raddoppiato il dolore del bimbo. Se l’ apprendimento di una lingua è sempre l’ apprendimento di una lingua materna, chi non ha madre con cui condividerla, cosa apprenderà ? C’ è infine l’ ultima, amarissima sequenza su cui si chiude il film, con la tragica fine di un contadino, un personaggio solo apparentemente secondario, forse un alter-ego del regista, che, parlando con un vicino, niente aveva voluto ammettere del suo dolore nello scoprire che la moglie emigrata in Italia conviveva ormai con un ruba-cuori italiano dipinto con toni foschi. Nell’ orgoglio, nella chiusura su se stessi che non vuole ammettere il disagio, si consumano molte delle tragedie dell’ emigrazione. Non si capisce l’ emigrazione se non si capisce l’orgoglio di chi emigra. Si parte per non voler essere sconfitti. Non si torna per paura di ammettere una sconfitta agli occhi dei compaesani. E chi resta, soprattutto se non è più un bambino, vive come già una sconfitta il dovere aggrapparsi alla speranza di un improbabile ritorno di chi ama.Arrivederci è più di un film : è un incontro. Quello verificatosi, come ci ha raccontato il regista nella proiezione organizzata da Assomoldave il 15 marzo a Roma, tra lui e un turista italiano in Moldavia che l’ha convinto a girare il film dopo aver incontrato i due bambini della storia ed aver cercato invano di aiutarli. Questo incontro tra lo sguardo del nativo e lo sguardo “altro” che può permettersi di vedere ciò che a noi fa troppo male notare, a costituire a mio avviso l’ eredità più preziosa del film. Perché due occhi più due non sono solo quattro occhi, ma una nuova idea per le mani e gambe che servono a far camminare i progetti che bisogna costruire per aiutare i poveri del mondo.Arrivederci è più di un film : è un progetto. Anzi non uno, ma dieci, cento, mille progetti di “empowerment” per le popolazioni migranti, perché è solo l’ aiuto all’ auto-aiuto che si rivela aiuto duraturo. Con questa finalità in mente si può inoltre stabilire una relazione paritaria tra chi sente di avere avuto di più e chi sente di avere avuto di meno, per poi arrivare a una nuova capacità di sviluppare un proprio progetto di vita e di sentirsi più padrone del proprio destino. Per questo motivo, raccolgo l’ invito implicito del film e metto le mie energie al servizio di un progetto: costruire una rete di gruppi di contatto tra donne originarie di Roma e donne migranti per elaborare insieme la sofferenza dell’ essere lontane dai propri cari e, al tempo stesso, offrire soluzioni concrete che aiutino il mantenimento e il miglioramento della relazione madre-figli.Condivido questo progetto con la rete di donne che aderiscono al COORDINAMENTO DONNE CONTRO IL RAZZISMO - donnecontroilrazzismo@yahoo.it e spero di poter facilitare uno di questi gruppi insieme a Tatiana Nogailic di Assomoldave (assomoldave@gmail.com).
Maria Emanuela Galanti
Roma, 30 marzo 2009 www.emanuelagalanti.eu
NONNO COMMENTO
Am chibzuit mult aspura filmului, dar mai mult asupra reacţiei publicului feminin şi în special a prietenelor mele. Binenţeles că o atare reacţie e şi bine motivată. Filmul tratează drama realităţii social-economice a Moldovei, care nu e deloc nouă, sau indiferentă tuturor celor ce „şi-au luat lumea’n cap şi s-au dus unde i-au dus ochii”, cum zice proverbul. Dar caracteristic este faptul că, fiind patologic „mândri”, zămisliţi în mod absurd, ne-am obişnuit să ne ascundem capul ca struţii, să ascundem adevărul urât, să tacem, să combatem şi să răzbatem, dar încâinaţi şi răzleţiţi, fiecare cu necazul său, fără un minim de solidaritate. E evident că şi în acest caz majoritatea a zis: „nu, nu-i adevărat, la noi aşa ceva nu poate fi”, sau „mie mi-e ruşine, cum se poate, ce femei, ce rasă de mame avem noi?!” „Noi! Moldovenii!, Noi nu... Noi...” Ce să zic, în afară de faptul că mi-e milă de cei care nu-şi dau seama că şi-au asumat toate responsabilităţile lumii, fără a-şi aminti de ceea ce este DREPTUL OMULUI. Eu m-am reţinut norocoasă pentru că am avut mai multe competinţe care mi-au fost de folos la momentul colapsului economic familiar, dar bietele femei, care au fost mai puţin pregătite, sau chiar abandonate în voia soartei şi n-au putut conta pe nimeni, ar fi trebuit să aibă sprijinul SERVICIILOR SOCIALE DE STAT. În aceste situaţii un cetăţean î-şi dă bine seama în ce tip de stat trăieşte şi ce fel de drepturi are. Deci, nu e de mirare faptul că filmul a fost cenzurat, era bine prevăzut. Mă deranjează mai mult spiritul patriahal al filmului, care în mod evident pune vina, oricum pe umerii FEMEEI. În mod foarte alegoric şi ridicol apare EA – femeia, care, trăind cu un anumit Don... nici măcar se expune, e atît de „neruşinoasă”! Ăsta este mesajul care vrea să trimită autorul şi ăsta este „mărul discordiei” între publicul feminin şi dânsul. În acest context consider că Dumnealui are nevoie acută de a studia bine, ( sau de a vrea să studieze), premizele anumitor comportamente a celor „judecate”. Trebuie să fim bine conştienţi de faptul că societatea noastră a păstrat cu „mare grijă” anumite „tradiţii”, care au dat naştere unei părţi masculine moldave, profund conservative, autoritare, incapabile de a se adapta la orice schimbare a vieţii, unii bărbaţi plini de absurdă vanitate, lipsiţi de responsabilitate, violenţi şi slabi de caracter, care au pus pe fugă de la baştină multe femei, neapărate. E inutil să ne ascundem de ceea ce este evident. În multe cazuri bărbatul şi-a vărsat necazul în bătăi, distrugând ceea, ce era mai scump – familia.E foarte simplu să judecăm pe cea, care e destul de vulnerabilă ca să fie „arătată cu degetul” cum spune moldoveanul. Vreau să văd curajosul, care-şi va îndrepta judecata direcţilor responsabili de dezastrul economic şi necazul poporului împrăştiat pe tot globul. „Arrivederci...” trage în ea, femeia şi ăsta este faptul, care doare mai mult. Eu, însă, sper că autorul a vrut să mai zică şi altceva... „voi, cei ce aţi gustat din „agheazma democraţiei”, aţi atins un nivel de trai mai bun, aveţi exemple de alt gen de gestiune a treburilor – DEŞTEPTAŢI-VĂ, veniţi, promovaţi o altă filozofie a vietii!” Sunt profund indignată şi exprim solidaritatea mea totală cu mamele moldave, care pentru a-şi tutela copiii, existenţa şi viitorul lor au ales nefasta cale a emigaţiei. Tot în acest context invoc cei ce pot contribui la îmbunătăţirea soartei noastre, a FEMEILOR, indiferent de nazionalitate, vârstă şi credinţă, să-şi asume responsabilităţile respective de a ne deschide porţile caselor şi a ne da posibilitatea de a trăi paşnic şi uman sub TUTELA STATULUI, TUTELA FEMEIEI ŞI A COPILULUI, fără a ne expune în bătaia soartei cum deja s-a întâmplat.
O MAMA
DECCIMO COMMENTO
Cata pudoare si mandrie de tara in unele comentarii, pana la sila. Nu va doare ca realitatea e mult mai cruda?
"Moldovenii din Italia", mama ce si-a lasat prencul sa creasca fara dragostea ei fdoar pt a avea bani sa mai schimbe garduri, sa cumpere video, masini, etc - o faceti pe strutul. E grav ceea ce se intapla cu geeratia noastra in crestere, e MARE saracie in Moldova, avem oameni f.buni, dar avem si de acei care nu stiu sa compatimeasca. Daca ati fost atenti - filmul are un sfarsit optimist. Acest copil nenorocit va infrunta greutatile si va deveni OM, care, cu siguranta, nu-si va lasa copii sa creasca singurei. Referitor la vanzare. Bravo si osanale unui regizor moldovean, care a creat o opera apreciata peste hotare.E dreptul lui sa-si vanda munca si daca DEBILII din Moldova nu au nevoie sa pastreze patrimoniul, care este vina regizorului?El trebuie sa traiasca, asta este unica lui sursa de venit. Nu va deranjeaza ca Jereghi a umblat mai bine de un an prin birourile prostilor de la conducere cu un scenariu unical despre Moldova si a fost, pana la urma, impus sa caute producatori straini? In acelasi timp un impotent ca vasilache mananca milioane de lei pt o aberatie de film, in care batraoara lui sotie o joaca pe Ileana Cosanzeana. ganditi-va inainte de a va expune parerea.
Laurentia 26/03/2009
FOTO. DELL'INCONTRO DI ROMA 15 MARZO 2009
http://picasaweb.google.it/assomoldave
Il film, ambientato in uno scenario contadino, è in bianco e nero e pur senza interpreti femminili, pone al centro del racconto proprio la donna. Nella narrazione lo spettatore assiste ad usanze e costumi di vita contadina che ancora sopravvivono nel terzo millennio e che presto saranno dimenticati, lasciando alla storia una originale testimonianza. Nella casa dove i fanciulli attendono la loro madre, le inquadrature delle suppellettili illustrano l’estrema semplicità e povertà. Questi valori sono esaltati dal bianco e nero della pellicola, e tuttavia lo spettatore non può che interpretare a colori l’unico segno di modernità che squarcia quella semplicità contadina. Le federe dei cuscini che con geometrici disegni tradiscono il segno del nostro tempo e che, per abitudine, ogni spettatore vede ed interpreta a colori.Il regista, con immagini e pochi dialoghi, illustra i valori umani che ancora esistono nelle piccole comunità, il sacrificio del lavoro, la solidarietà umana, l’orgoglio e la dignità della povera gente. Questi valori si contrappongono ai valori negativi del materialismo e del consumismo che pur non illustrati emergono indirettamente dai racconti sulle donne del villaggio che, emigrate, sembrano perse nel modernismo delle città italiane.La figura femminile è assente e tuttavia se ne denuncia la sua indispensabile necessità. I guasti che la sua assenza procura a figli e mariti sono drammatici, e tuttavia allo stesso tempo rappresentano una denuncia, indiretta e implacabile, verso quegli stessi uomini che il sacrificio di emigrare lo affidano alle donne, che con le loro rimesse sostengono oggi le economie dei paesi dell’est.Solo nell’ultima immagine del film appare il colore, è l’arcobaleno, i suoi colori bagnano di speranza la drammatica conclusiva scena di disperazione del film.
Tatiana Nogailic
SECONDO COMMENTO DEL FILM:
ARRIVEDERCI è un film che fa discutere e divide spettatori e critica. Tra gli spettatori moldavi è sorprendente registrare giudizi che negano il valore del film semplicemente perchè queste persone negano la realtà rappresentata. In questi casi bisogna capire quali sono i motivi che spingono a rinnegare una realtà che il regista ha tratto dalle cronache della stessa Moldova, che raccontano di abbandoni e suicidi quali effetti della migrazione. Forse non è noto, ma sembra che la storia raccontata tragga spunto da un fatto vero, che le riprese risultano fatte nello stesso luogo della vicenda, e che i due bambini attori erano compagni di scuola dei veri protagonisti della vicenda, inoltre le scene della campagna e delle usanze del villaggio sono state girate nei luoghi reali.Insomma non erano ricostruzioni fatte negli studi cinematografici, non si tratta qui di quelle finzioni filmiche che suscitano nello spettatore le “emozioni forti” ma allo stesso tempo scrupolosamente attente a non turbare la coscienza di chi guarda.Questo film emoziona non i sensi ma le coscienze, è questo il motivo che turba, che induce molti spettatori a negare la realtà che hanno visto nel film. Potranno anche negare quella realtà ma non la potranno più dimenticare perché resta incisa nelle coscienze. Questo è il valore e il messaggio del regista, “non dimenticare”. Coloro che negano la realtà per continuare a vivere in pace con la propria coscienza, al cinema vanno solo per ricavare delle pure sensazioni emotive . Dai commenti emerge anche che taluni moldavi provino vergogna o sentono questo film come una offesa alla dignità della propria nazione. Evidentemente in Moldova, al contrario del cinema, la libertà dei mass-media non ha ancora raggiunto quella maturità che deve accompagnare un popolo a riconoscersi nei propri limiti e nei propri valori.Si dirà che anche noi italiani abbiamo i nostri difetti, certo ma noi non li nascondiamo, e non ne abbiamo più vergogna, perché abbiamo imparato a discuterli senza nasconderli o rinnegarli. I nostri difetti ormai non li commentiamo più nel buoi delle sale cinematografiche, vengono annunciati tutti i giorni nei telegiornali e sulla stampa, li commentiamo negli show televisivi dove si illustrano scandali e comportamenti, mondezza e mafia, e della politica facciamo divertenti spettacoli di satira. In altri termini gli italiani convivono con i loro limiti, ne prendono coscienza senza rinnegarli e senza vergognarsi, perchè sapere da dove si proviene e conoscere i propri limiti da ad ogni popolo la possibilità e la forza di migliorarsi.
Neri Luigi
R&S RICERCA E SVILUPPO
TERZO COMMENTO DEL FILM
Guardando il film “Arrivederci” del regista Valeriu Jereghi si può dire che è duro in senso che tutti siamo abituati di presentare, di vedere la parte buona, bella di un paese, sopratutto se si tratta di un paese meno conosciuto. Ma questa è la realtà e si deve accertarla e di trovare le soluzioni adeguate.Infatti la vita di un immigrante è molto difficile. Gli immigranti devono lasciare indietro la loro vita, quella che era prima di andare via, le loro tradizioni. Spesso l'impatto della nuova situazione può essere drammatico per loro. Purtroppo sono i bambini che risentano questo problema di più che un adulto.La statistica mostra che almeno 600.000 persone hanno immigrato da Moldova, con unapopolazione di circa 4,3 milioni di abitanti. Secondo le dati statistici di UNICEF in 2004 sono stati 35.000 bambini che abitavano in Moldova senza nessun genitore e 75.000 con uno del genitori.Purtroppo ogni anno questo numero è in crescita.Questi bambini confrontano varie minacce; mentre che loro possono avere una situazione finanziaria migliore, egli spesso rischiano di avere una educazione morale e spirituale limitata.Spesso loro si descrivono come abbandonati o pensano di loro male e per questo sono andati via i loro genitori. Si sentono pure condannati a vivere questo problema.Pure io ho vissuto questa esperienza essere in pratica da sola con mia sorella più piccola dime. Io avevo 17 anni e la mia sorellina 10 quando la nostra mamma è andata in Italia per lavorare e a migliorare la situazione finanziaria. Infatti mie un po' difficile ridare la mia esperienza. Vivere Tutti i giorni che verrà è quel bel giorno “di festa”, l'arrivo della mamma. Anzi per me sono stati Difficili quegli anni. Io dovevo fare la madre e anche la sorella. Avevo altre responsabilità a crescere ed a educare la mia sorella. Ma posso dire che in tutto questo è stato anche una parte positiva quella di essere autonoma, di avere più fiducia in me. Ho cominciato a vivere la vita di un adulto.Dobbiamo fare tutto quello che è possibile per a migliorare la situazione dei questi bambini,dandole più attenzione per non sentirsi da soli e di non sentire così forte la mancanza dei genitori.Perché i bambini sono il nostro futuro, la nostra speranza.
Proteggiamoli!
Arina Iavorschi
Studente FASS- PUST ANGELICUM ROMA
QUARTO COMMENTO AL FILM
Due bambini, i loro gesti al risveglio. Due bambini soli. Le immagini in bianco e nero scorrono lentamente, in sala si può ‘sentire’ il peso di quello che si vede. Il film è il film moldavo Arrivederci di Valeriu Jereghi, la sala è quella del Serafico per una proiezione organizzata da Assomoldave ;la gran parte degli spettatori appartiene alla comunità moldava di Roma e provincia.
La storia colpisce al cuore e allo stomaco, una storia di abbandoni da parte di donne - madri, mogli - per emigrare in paesi lontani alla ricerca di lavoro e garantire a chi rimane una vita migliore. Madri e mogli che, come nel film, a volte perdono o vogliono perdere il legame con le loro radici e spariscono nel nulla.
Le donne (e gli uomini) presenti seguono in silenzio la storia che si dipana, trovando la voglia di sorridere solo per qualche attimo. Anche se con esiti diversi, è la loro storia di donne, che hanno lasciato in una città o villaggio moldavi figli e mariti per andare ad accudire figli e mariti altrui in città così diverse dalle loro, fra gente non sempre accogliente. Così è successo anche a Tatiana, la giovane e determinata presidente dell’Assomoldave.
Noi, donne italiane, non possiamo essere semplici spettatrici e siamo come loro coinvolte dalle immagini che vediamo. Non basta a frenare l’emozione sapere quanta ricchezza hanno significato per noi occidentali, e in particolare per l’Italia, il lavoro di intere popolazioni dell’Europa orientale; non basta sapere che tutte noi conosciamo o viviamo situazioni familiari che si mantengono grazie alla presenza di badanti rumene, ucraine, moldave; non basta che la nostra presenza testimonia la volontà di integrazione.
Cresce dentro di noi, insieme all’emozione, la consapevolezza che non c’è futuro per i nostri popoli se non si parte dalla difesa del ruolo delle donne nella società. Parità e dignità vuol dire dare a tutte le donne del mondo la possibilità vera di veder crescere i propri figli, di poterli svegliare ogni mattina, di accompagnarli a scuola, di essere sostenuta con servizi e supporti sociali in questo compito di ogni donna del mondo di riprodurre il proprio popolo.
Vuol dire permettere ai bambini di essere bambini e vivere la loro infanzia serenamente. Quelle mani che nel film impastano il pane, lavano i panni, tirano l’acqua dal pozzo, devono continuare ad essere mani adulte, in Moldavia, in Italia, in Africa , in Sudamerica, in India e in Cina.
Anche la stessa durezza della vita e dei rapporti devono essere scoperti con la guida dei genitori.
Prima le donne e i bambini’ non può essere una frase priva di senso ma un impegno fondante per uomini e governi.
L’Italia ha vissuto il dramma dell’emigrazione e non dimentichiamo che interi paesi del Sud o del Veneto si sono svuotati, centinaia di famiglie si sono divise, milioni di persone si sono allontanate ma anche che, grazie alle rimesse degli emigranti, chi è rimasto ha potuto costruire una casa, mangiare, far studiare i giovani.
La povertà non è una vergogna, mostrarla non è uno scandalo. E anche questo gli italiani lo sanno bene poichè, davanti agli splendidi film del neorealismo, che raccontavano un’Italia devastata dalla guerra e costretta ad arrangiarsi, un esponente politico di rilievo li criticò e affermò che ‘i panni sporchi si lavano in casa’… Noi, al contrario, pensiamo che non di panni sporchi si tratta ma di realtà davanti alle quali non si può tacere.
Il film comunque nella drammaticità della storia, invita alla speranza quando ci fa vedere ancora bambini che giocano e adulti del luogo , ma anche stranieri che aiutano, parlano, fanno ancora sognare questi bambini.
Questa speranza ce la vogliamo prendere tutta.Siamo uscite da quel pomeriggio in cui abbiamo visto Arrivederci rafforzate nella nostra convinzione di vivere insieme ad ogni donna moldava e ad ogni donna del mondo queste drammatici processi e ricercare insieme percorsi di conoscenza e solidarietà.
Madri per Roma Città Aperta
madrixromacittaperta.noblogs.org
QUINTO COMMENTO:
In merito al film ARRIVEDERCI devo dire che l'ho trovato molto bello, profondo e sopratutto realista. Lo so che a molti immigrati può far male vedere certe situazioni e molto spesso per dignità e pudore si preferisce negare che vi siamo queste situazioni ma al tempo tesso credo che sia giusto raccontare anche queste storie.
E' vero che non tutte le situazioni sono come quella vista nel film ma ci sono anche queste e servono per far capire con quale stato d'animo vivono tanti immigrati nel nostro paese Serve a far capire che tanti di loro se avessero avuto le condizioni giuste sarebbero rimasti nel loro paese con la loro famiglie e i loro figli invece di venire in Italia per cercare lavoro e mantenere i proprio cari in patria, magari rinunciando alle loro professioni, ai loro studi per fare lavori molto umili.
E' una pagina dura e cruda dell'immigrazione e bene avete fatto a farla vedere, speriamo che serva a tutti per riflettere e per affrontare il tema dell'immigrazione e dell'integrazione con un'altra sensibilità.
Un ringraziamento particolare lo rigolo al regista, al produttore e ad Assomoldave che ha voluto organizzare la proiezione a Roma.
Federico Rocca
Consigliere Comunale di Roma
SESTO COMMENTO
Il mio commento è molto personale e probabilmente deluderà quanti hanno privilegiato l’aspetto di denuncia sociale e politica del film. Perché io, in quelle scene così poetiche di una campagna abbandonata e di una vita di privazioni, sento la nostalgia di qualcosa che, da viziato occidentale dell’età dell’opulenza, non ho mai avuto. Una vita non artificiale e più autentica, una vita in cui un bambino non è trattato come un deficiente irresponsabile o come il cliente finale della distribuzione commerciale. Perciò non riesco a sentire un male di cui vergognarsi in un tipo di vita così arcaica e lontana dalle nostre abitudini.
Dove voi vedete l’orrore, io vedo qualcosa di buono. Certo, da correggere, da migliorare, ma da non buttare via completamente.
A parte queste considerazioni esistenziali, mi sembra che il motivo più interessante del film, quello che lo rende un film di denuncia forte e intelligente e non banale sia questo: l’immigrazione è finalmente mostrata nella sua faccia nascosta, il paese che presta la forza-lavoro e non quello che la sfrutta.
Finalmente si esce dalla retorica dell’immigrazione come possibilità, come risorsa, come incontro di culture diverse ecc. Punto di vista che è sempre molto egoistico e anti-democratico, in quanto riferito ai paesi e alle culture più forti, quelle ospitanti. Mentre non si chiede mai alle persone che emigrano quanto contente siano di contribuire a questo magnifico incontro di culture e arricchimento sociale e progresso economico.
Finalmente l’attenzione è spostata sui “vuoti” della globalizzazione, sull’impoverimento che crea, sulla crudeltà delle logiche sottostanti.
Non mi meravigliano le difficoltà di distribuzione che può aver incontrato il film, che scontenta sia i governanti del paese del regista, per ovvi motivi, sia i nostri (occidentali) paladini della globalizzazione e del progresso ad ogni costo, di destra e di sinistra, sia le componenti culturali più progressiste troppo abituate a vedere nello straniero una “causa” da difendere e troppo poco un essere umano da capire.
Flavio Ballarin
SETTIMO COMMENTO
In merito al film arrivederci, posso dire che tratta uno dei punti più dolenti che lascia con se i fenomeni dell’immigrazione.
Quello che mi ha colpito, oltre la povertà che in fondo siamo abituati a vedere ed a conviverci noi che veniamo dai Paesi poveri è l’abbandono dei minori senza che una persona che si possa fare carico di loro, per me raffigura la povertà dell’Anima, dei sentimenti che è assai più dura.
Questo film farcendoci analizzare questi punti, fa si che non dobbiamo nascondere la realtà ma affrontarla e fare qualcosa perché non continui a succedere.
Noi donne, che lasciamo i nostri paesi con la speranza di una situazione economica migliore per la nostra famiglia non dobbiamo sentirci in colpa, se non, trattare affinchè questa situazione cambi, che i bambini non si sentano più abbandonati se non sicuri ed amati.
Devo fare i complimenti a coloro che hanno realizzato questo film, perché bisogna avere una forte sensibilità umana per trattare un tema così drammatico.
Avvocata . Palomino C. Gladys
OTTAVO COMMENTO
Per un “Arrivederci” meno amaroE’ un film coraggioso, Arrivederci , del regista moldavo Valeriu Jereghi. Parla di problemi talmente strutturali nei paesi a forte tasso emigratorio da apparire irrisolvibili e quindi censurabili. E non solo censurabili, ma di fatto censurati da chi li vive in prima persona, quasi fosse una colpa o una vergogna l’essere nati poveri, in un paese povero ed essere stati costretti ad emigrare.E’ un film saturo di emozioni, melanconico e amaro, Arrivederci, prodotto dallo sguardo di un regista che fortemente si identifica con alcune delle vittime che l’ emigrazione falcidia, quelle che chi va via si lascia alle spalle.E’ un film lento e studiato, girato in bianco e nero, in cui convivono la raffigurazione iconica, la rarefazione mistica del cineasta russo Tarkovskij ed i toni molto più enfatici dei neo-realisti italiani. Quasi un invito straziante agli spettatori ad aggiungere di persona i colori, le sfumature. Ad entrare in risonanza con la materia dura, pietrosa, di cui è fatto il film. E, soprattutto, a colmare un’ assenza. Un invito che io, mamma e migrante privilegiata, non posso non cogliere…Il film è tutto costruito su un personaggio di cui nulla si sa e nulla si vede, una madre che ha lasciato soli in Moldavia per migrare in Italia due bambini, un fratello maggiore e una sorellina, che insieme raggiungono forse a mala pena i 16 anni. In una società povera e rurale i due bambini si arrabattano per vivere, soprattutto grazie alla caparbia e fiera capacità di sopravvivenza del più grande dei due. Ma non è tanto la durezza delle condizioni di vita, il prematuro incontro con le necessità spietate della povertà e dell’ assenza di figure di riferimento a costituire il nucleo del film. Piuttosto, è la dialettica tra l’ assenza materiale della madre e la presenza di lei nella memoria, nei gesti e nel desiderio struggente del figlio maggiore a tessere la trama del film, che poi è solo un’ attesa senza fine.Sono quattro le sequenze del film che più mi hanno colpito e che desidero commentare.Il film si apre con il risveglio dei due bambini; capiamo dalla determinazione che il maschietto mette nel pettinare la sorellina, dall’ attenzione nel consolarla, che a lui spetta il ruolo materno della cura. Con un significato non recondito : la madre ha curato amorevolmente e a lungo quel figlio se è riuscita a tramandare il suo ruolo, a instillare in lui non solo la devozione che il bambino le dedica ma anche i gesti quotidiani del contatto quotidiano con il corpo dell’altro, che si fa arrendevole, corpo di figlio/figlia.In un significato forse più lontano, ma su cui vale la pena di interrogarsi ugualmente, il ruolo materno assunto da un piccolo rappresentante del genere maschile appare come la rottura fortuita di una catena di eventi che portano le donne piuttosto che gli uomini ad eccellere nei ruoli della cura. L’ emigrazione della madre, probabilmente in Italia per essere badante, porta un figlio ad essere badante dell’ altra figlia. Come a dire che la povertà e l’ emigrazione possono stravolgere i confini di quello che chiamiamo famiglia, di quello che chiamiamo ruolo genitoriale, di quello che consideriamo ruolo maschile o femminile. Un salto nel buio nell’arco di una generazione fa precipitare su un cucciolo d’ uomo un destino che tradizioni valoriali sedimentate lentamente nei secoli hanno invece riservato alle donne.Nella seconda sequenza, il bambino ascolta, cuffie agli orecchi mentre sale sul monte, la canzone “O sole mio” che lo connette all’ Italia, un paese misterioso, dove la madre vive (o non vive più). Questa e le altre canzoni napoletane della colonna sonora di questa parte del film, sono anche le canzoni che gli emigranti italiani in tutto il mondo si portano dietro per ricordare la patria. Come a dire che l’emigrazione ha un linguaggio unico, scandito tra le note alte del desiderio e quelle basse della nostalgia. E l’ emigrazione ha i suoi tempi, un presente schiacciato tra passato e futuro, entrambi coniugati con il modo condizionale del “se…”Nella terza sequenza, l’ arrivo al primo giorno di scuola in ritardo del bambino ci porta all’ interno della trasmissione valoriale che è di nuovo affidata ad un personaggio femminile. Una giovane maestra declama con vigore un poema sulla madre-patria. L’ assenza della madre si fa duplice e raddoppiato il dolore del bimbo. Se l’ apprendimento di una lingua è sempre l’ apprendimento di una lingua materna, chi non ha madre con cui condividerla, cosa apprenderà ? C’ è infine l’ ultima, amarissima sequenza su cui si chiude il film, con la tragica fine di un contadino, un personaggio solo apparentemente secondario, forse un alter-ego del regista, che, parlando con un vicino, niente aveva voluto ammettere del suo dolore nello scoprire che la moglie emigrata in Italia conviveva ormai con un ruba-cuori italiano dipinto con toni foschi. Nell’ orgoglio, nella chiusura su se stessi che non vuole ammettere il disagio, si consumano molte delle tragedie dell’ emigrazione. Non si capisce l’ emigrazione se non si capisce l’orgoglio di chi emigra. Si parte per non voler essere sconfitti. Non si torna per paura di ammettere una sconfitta agli occhi dei compaesani. E chi resta, soprattutto se non è più un bambino, vive come già una sconfitta il dovere aggrapparsi alla speranza di un improbabile ritorno di chi ama.Arrivederci è più di un film : è un incontro. Quello verificatosi, come ci ha raccontato il regista nella proiezione organizzata da Assomoldave il 15 marzo a Roma, tra lui e un turista italiano in Moldavia che l’ha convinto a girare il film dopo aver incontrato i due bambini della storia ed aver cercato invano di aiutarli. Questo incontro tra lo sguardo del nativo e lo sguardo “altro” che può permettersi di vedere ciò che a noi fa troppo male notare, a costituire a mio avviso l’ eredità più preziosa del film. Perché due occhi più due non sono solo quattro occhi, ma una nuova idea per le mani e gambe che servono a far camminare i progetti che bisogna costruire per aiutare i poveri del mondo.Arrivederci è più di un film : è un progetto. Anzi non uno, ma dieci, cento, mille progetti di “empowerment” per le popolazioni migranti, perché è solo l’ aiuto all’ auto-aiuto che si rivela aiuto duraturo. Con questa finalità in mente si può inoltre stabilire una relazione paritaria tra chi sente di avere avuto di più e chi sente di avere avuto di meno, per poi arrivare a una nuova capacità di sviluppare un proprio progetto di vita e di sentirsi più padrone del proprio destino. Per questo motivo, raccolgo l’ invito implicito del film e metto le mie energie al servizio di un progetto: costruire una rete di gruppi di contatto tra donne originarie di Roma e donne migranti per elaborare insieme la sofferenza dell’ essere lontane dai propri cari e, al tempo stesso, offrire soluzioni concrete che aiutino il mantenimento e il miglioramento della relazione madre-figli.Condivido questo progetto con la rete di donne che aderiscono al COORDINAMENTO DONNE CONTRO IL RAZZISMO - donnecontroilrazzismo@yahoo.it e spero di poter facilitare uno di questi gruppi insieme a Tatiana Nogailic di Assomoldave (assomoldave@gmail.com).
Maria Emanuela Galanti
Roma, 30 marzo 2009 www.emanuelagalanti.eu
NONNO COMMENTO
Am chibzuit mult aspura filmului, dar mai mult asupra reacţiei publicului feminin şi în special a prietenelor mele. Binenţeles că o atare reacţie e şi bine motivată. Filmul tratează drama realităţii social-economice a Moldovei, care nu e deloc nouă, sau indiferentă tuturor celor ce „şi-au luat lumea’n cap şi s-au dus unde i-au dus ochii”, cum zice proverbul. Dar caracteristic este faptul că, fiind patologic „mândri”, zămisliţi în mod absurd, ne-am obişnuit să ne ascundem capul ca struţii, să ascundem adevărul urât, să tacem, să combatem şi să răzbatem, dar încâinaţi şi răzleţiţi, fiecare cu necazul său, fără un minim de solidaritate. E evident că şi în acest caz majoritatea a zis: „nu, nu-i adevărat, la noi aşa ceva nu poate fi”, sau „mie mi-e ruşine, cum se poate, ce femei, ce rasă de mame avem noi?!” „Noi! Moldovenii!, Noi nu... Noi...” Ce să zic, în afară de faptul că mi-e milă de cei care nu-şi dau seama că şi-au asumat toate responsabilităţile lumii, fără a-şi aminti de ceea ce este DREPTUL OMULUI. Eu m-am reţinut norocoasă pentru că am avut mai multe competinţe care mi-au fost de folos la momentul colapsului economic familiar, dar bietele femei, care au fost mai puţin pregătite, sau chiar abandonate în voia soartei şi n-au putut conta pe nimeni, ar fi trebuit să aibă sprijinul SERVICIILOR SOCIALE DE STAT. În aceste situaţii un cetăţean î-şi dă bine seama în ce tip de stat trăieşte şi ce fel de drepturi are. Deci, nu e de mirare faptul că filmul a fost cenzurat, era bine prevăzut. Mă deranjează mai mult spiritul patriahal al filmului, care în mod evident pune vina, oricum pe umerii FEMEEI. În mod foarte alegoric şi ridicol apare EA – femeia, care, trăind cu un anumit Don... nici măcar se expune, e atît de „neruşinoasă”! Ăsta este mesajul care vrea să trimită autorul şi ăsta este „mărul discordiei” între publicul feminin şi dânsul. În acest context consider că Dumnealui are nevoie acută de a studia bine, ( sau de a vrea să studieze), premizele anumitor comportamente a celor „judecate”. Trebuie să fim bine conştienţi de faptul că societatea noastră a păstrat cu „mare grijă” anumite „tradiţii”, care au dat naştere unei părţi masculine moldave, profund conservative, autoritare, incapabile de a se adapta la orice schimbare a vieţii, unii bărbaţi plini de absurdă vanitate, lipsiţi de responsabilitate, violenţi şi slabi de caracter, care au pus pe fugă de la baştină multe femei, neapărate. E inutil să ne ascundem de ceea ce este evident. În multe cazuri bărbatul şi-a vărsat necazul în bătăi, distrugând ceea, ce era mai scump – familia.E foarte simplu să judecăm pe cea, care e destul de vulnerabilă ca să fie „arătată cu degetul” cum spune moldoveanul. Vreau să văd curajosul, care-şi va îndrepta judecata direcţilor responsabili de dezastrul economic şi necazul poporului împrăştiat pe tot globul. „Arrivederci...” trage în ea, femeia şi ăsta este faptul, care doare mai mult. Eu, însă, sper că autorul a vrut să mai zică şi altceva... „voi, cei ce aţi gustat din „agheazma democraţiei”, aţi atins un nivel de trai mai bun, aveţi exemple de alt gen de gestiune a treburilor – DEŞTEPTAŢI-VĂ, veniţi, promovaţi o altă filozofie a vietii!” Sunt profund indignată şi exprim solidaritatea mea totală cu mamele moldave, care pentru a-şi tutela copiii, existenţa şi viitorul lor au ales nefasta cale a emigaţiei. Tot în acest context invoc cei ce pot contribui la îmbunătăţirea soartei noastre, a FEMEILOR, indiferent de nazionalitate, vârstă şi credinţă, să-şi asume responsabilităţile respective de a ne deschide porţile caselor şi a ne da posibilitatea de a trăi paşnic şi uman sub TUTELA STATULUI, TUTELA FEMEIEI ŞI A COPILULUI, fără a ne expune în bătaia soartei cum deja s-a întâmplat.
O MAMA
DECCIMO COMMENTO
Cata pudoare si mandrie de tara in unele comentarii, pana la sila. Nu va doare ca realitatea e mult mai cruda?
"Moldovenii din Italia", mama ce si-a lasat prencul sa creasca fara dragostea ei fdoar pt a avea bani sa mai schimbe garduri, sa cumpere video, masini, etc - o faceti pe strutul. E grav ceea ce se intapla cu geeratia noastra in crestere, e MARE saracie in Moldova, avem oameni f.buni, dar avem si de acei care nu stiu sa compatimeasca. Daca ati fost atenti - filmul are un sfarsit optimist. Acest copil nenorocit va infrunta greutatile si va deveni OM, care, cu siguranta, nu-si va lasa copii sa creasca singurei. Referitor la vanzare. Bravo si osanale unui regizor moldovean, care a creat o opera apreciata peste hotare.E dreptul lui sa-si vanda munca si daca DEBILII din Moldova nu au nevoie sa pastreze patrimoniul, care este vina regizorului?El trebuie sa traiasca, asta este unica lui sursa de venit. Nu va deranjeaza ca Jereghi a umblat mai bine de un an prin birourile prostilor de la conducere cu un scenariu unical despre Moldova si a fost, pana la urma, impus sa caute producatori straini? In acelasi timp un impotent ca vasilache mananca milioane de lei pt o aberatie de film, in care batraoara lui sotie o joaca pe Ileana Cosanzeana. ganditi-va inainte de a va expune parerea.
Laurentia 26/03/2009
FOTO. DELL'INCONTRO DI ROMA 15 MARZO 2009
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