Il 5 novembre scorso ho partecipato alla cerimonia ufficiale di presentazione della comunità moldava a Roma. Secondo i dati dell’Istat elaborati dalla Caritas di Roma, gli immigrati moldavi che vivono nel Lazio sono 8.386, il 2 per cento circa degli stranieri regolari. La maggioranza (il 66 per cento circa) è composta da donne che lavorano come colf e badanti. In tutt’Italia i moldavi sono 89.424.
Alla cerimonia hanno partecipato l’ambasciatore della Moldova a Roma, Gheorghe Rusnac, il coordinatore del Dossier statistico immigrazione Caritas/Migrantes Franco Pittau e altri relatori autorevoli. Gli sgargianti motivi floreali e i prodotti tipici che decoravano le sale di Palazzo Firenze davano all’evento un carattere promozionale, ma la carta geografica della Moldova incorniciata da merletti e ricami fatti a mano testimoniava una nostalgia autentica.
Altrettanto autentica è la voce di Tatiana Nogailic, immigrata moldava in Italia, presidente dell’associazione Assomoldave, insignita del titolo Messaggero di pace nel mondo dell’Unicef per le sue attività di assistenza ai bambini moldavi. In poche frasi Tatiana riesce a esprimere il disagio e le speranze della sua comunità. Suddivide gli immigrati moldavi che vivono in Italia in due categorie: gli irregolari senza permesso di soggiorno e i regolari, molti dei quali hanno la cittadinanza romena.
I rapporti con Bucarest
“Nel periodo tra le due guerre mondiali”, spiega Tatiana, “la Moldova faceva parte della Romania. Grazie a una legge del 1991, molti moldavi hanno acquisito la cittadinanza romena. Oggi le autorità di Bucarest vogliono, da una parte, accontentare i moldavi, dall’altra, rispettare gli standard di sicurezza dettati dall’Unione europea. La Romania offre molte possibilità a chi è in cerca di lavoro in Europa. Questo spiega la facilità con cui avviene la naturalizzazione e anche una certa tensione intorno alla questione”.
Una volta in Italia, i moldavi affrontano molte difficoltà. Come spesso succede agli immigrati regolari, devono aspettare a lungo per ottenere il rilascio o il rinnovo del permesso di soggiorno. “L’integrazione nella società italiana è difficile a causa di leggi incomprensibili”, racconta Tatiana. “Personalmente ho vissuto con terrore le pratiche burocratiche. La cosa peggiore è che durante l’attesa del permesso di soggiorno è vietato tornare in Moldova. Questo ci fa sentire inesistenti, invisibili”.
Secondo Tatiana c’è anche una terza categoria di immigrati moldavi: “Quelli che si isolano perché pensano un giorno di tornare a casa. Anche questo è un modo di reagire al difficile processo d’integrazione. Ma è una rinuncia”.
Una sanatoria poco efficace
Dopo l’ultima sanatoria molte colf e badanti moldave non sono riuscite a regolarizzare la loro situazione. “La sanatoria”, spiega Tatiana, “avrebbe dovuto prendere in considerazione anche le badanti che lavorano per diversi datori di lavoro. Sono le più disagiate. Non sono solo moldave, ma anche ucraine e filippine. Spesso non vivono a casa del datore di lavoro e per questo spendono di più per il vitto, l’alloggio e i trasporti. Non essere in regola significa non poter accedere a diversi servizi. Significa sentirsi spiati e perseguitati. Come soluzione speriamo in un nuovo decreto flussi”.
Le chiedo della seconda generazione di moldavi in Italia. “I nostri figli” dice Tatiana, “studiano nelle scuole italiane e parlano bene la lingua. Spesso, però, non condividono il desiderio dei genitori di tornare un giorno al paese d’origine. Ma, allo stesso tempo, non riescono a sentirsi completamente inseriti nella società italiana. Fargli avere la cittadinanza italiana sarà decisivo per la loro integrazione”.
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